mercoledì 6 aprile 2011

Pirandello TUTTO FINITO

Pirandello (1867-1936) nacque in una famiglia agiata, frequentò la facoltà di Lettere. Nel 1934 vinse il premio Pulitzer per la letteratura. Ebbe una vita triste anche a causa della pazzia della moglie, in cura presso un ospedale psichiatrico per nevrosi generata da gelosia ossessiva, alimentata anche dalla vita seguita dall’autore. Quest’ultimo infatti viaggiando molto per il teatro frequentò diverse donne. Per ottenere appoggi da parte del regime si iscrisse al partito fascista, ma ben presto dovette riconoscerne il carattere vuoto. Visse un periodo caratterizzato da una duplice crisi, la prima storico sociale dell’Italia post rinascimentale. Vi erano molti disordini per la zona greca, la caduta di valori e delle certezze positivistiche (esaltazione della scienza) e la rottura dal decadentismo, caratterizzato dalla crisi delle certezze. A questo primo tipo di crisi, storica, Pirandello dedicò un romanzo dal titolo “I vecchi ed i giovani” in cui parla del tradimento delle prospettive, riflettendo sul crollo dei miti della ragione che rendevano vivi il decadentismo. Per Pirandello anche l’uomo è in crisi perché non padroneggia più la libertà, non conosce più se stesso quindi è alienato, non si appartiene più. Il relativismo è la mancanza di punti fermi e delle certezze. L’inconcludenza è un carattere del relativismo di Pirandello, per il quale la vita è un flusso continuo non può fissarsi in qualcosa se no morirebbe. La vita non conclude perché flusso inarrestabile non posso farla diventare forma dandole paletti se no muore. Caratteristico della visione pirandelliana è quindi il relativismo conoscitivo per il quale ognuno ha la sua verità che nasce dal suo modo di vedere le cose. Da questo ne deriva un’inevitabile incomunicabilità fra gli uomini dato che non riescono ad intendersi dal momento che ognuno fa riferimento alla realtà com’è per lui. Tutto ciò concorre ad accrescere il senso di solitudine del’individuo, perde fiducia nel reale da cui deriva la crisi delle certezze positivistiche, per questo spesso Pirandello lo si definisce decadente, sebbene appaia già al di fuori di esso. Infatti alla base del Decadentismo vi è una condizione spirituale mistica che unisce la realtà e colloca l’io al centro del mondo, mentre nella visione umoristica di Pirandello la realtà è frantumata e priva di senso, così come l’individuo che si annulla. Questa crisi della totalità colloca Pirandello oltre il decadentismo. Il termine relativismo è quindi il nome della crisi vissuta nelle sue opere, non c’è più il Verismo di Verga per il quale il vero erano i fatti e ciò che si vedeva. Pirandello rifiuta  i modelli, ricalca il parlato. È finita l’età del realismo e lo si capisce perché l’autore eclissato di Verga (si diceva che l’opera si fa da se) Pirandello va più in là dicendo che non esiste lo scrittore, sparisce e l’emblema è un personaggio di Pirandello, Serafino, nella novella Si gira. Sparisce il narratore onnisciente, colui che padroneggia il racconto sapendo il perché, come ecc.
Alla base della visione pirandelliana vi è una concezione vitalistica: la realtà è tutta vita, eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all'altro, flusso continuo, incandescente, indistinto. Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume forma distinta ed individuale arriverà a morire. Così avviene per l'identità personale dell'uomo. Noi siamo parte indistinta nell'universale ed eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali in una personalità che vogliamo unitaria. In realtà è un'illusione poiché noi stessi ci fissiamo una forma, ma gli altri con cui viviamo ci assegnano una forma secondo la loro prospettiva. Noi crediamo di essere uno per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi a seconda della persona con cui ci stiamo relazionando. Ciascuna di queste forme è una costruzione fittizia, una maschera che noi ci imponiamo e ci impone il contesto sociale. Sotto questa maschera c'è un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne trasformazione. Mette quindi in evidenza il contrasto esistente tra la fluidità inarrestabile della vita, che è diversa di momento in momento e che presenta contemporaneamente aspetti molteplici ed anche contraddittori, e l'esigenza di cristallizzare quel flusso continuo in immagini certe, stabili, alle quali ancorare la conoscenza che si ha, o meglio si crede di avere, di sé e degli altri. Il contrasto è quindi tra la vita, ovvero il libero fluire di tutto, lo scorrere delle cose e la forma che obbedisce a convenzioni sociali ovvero essere come gli altri vogliono che io sia.
Vi è quindi un naufragio di tutte le certezze: la crisi di identità porta alla frantumazione e alla negazione dell'individuo, negando la persona, dissolvendola in grandi apparati produttivi anonimi in cui l'uomo smarrisce il legame personale con gli altri e diviene una particella isolata e alienata nella folla anonima. L'individuo non conta più, l'io si indebolisce, perde la sua identità. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore. L'avvertire di non essere nessuno, l'impossibilità di consistere in un'identità, provoca angoscia ed orrore, genera un senso di solitudine tremenda. Viceversa l'individuo soffre anche ad essere fissato dagli altri in forme in cui non può riconoscersi. Queste forme sono sentite come una trappola, come un carcere in cui l'individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi. La società isola l'uomo dalla vita e lo conduce alla morte anche se egli apparentemente continua a vivere. Vi è un bisogno disperato di autenticità sebbene la sua vita si svolge sui binari del perbenismo esteriore. È dall’autore definita come una fantocciata, dato che non si distingue più la realtà dalla fantasia. Questo aspetto è molto rispecchiato dal teatro, istituto in cui si manifesta per eccellenza la trappola della forma che imprigiona l’uomo, separandolo dall’immediatezza della vita. Anche la società è vista come una trappola dal momento che limita l’uomo al lavoro e alla sua condizione sociale. Tuttavia, non c’è via d’uscita vera e propria. L’unica salvezza relativa consiste nella fuga nell’irrazionale, nell’immaginazione che conduce ad un altrove fantastico (Belluca in “il treno ha fischiato”) oppure nella follia.
Il rifiuto della vita sociale dà luogo alla figura del “forestiere della vita”, termine usato da Pirandello anche per descrivere Mattia Pascal nell’omonimo romanzo. Il Forestiere della vita è colui che ha capito il gioco, ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del meccanismo sociale e si esclude, si isola, si estranea dalla propria vita, guardando vivere gli altri dall’esterno della vita e osservando gli uomini imprigionati nella trappola con un atteggiamento umoristico di irrisione e pietà (non coincide esattamente con la figura di Pascal). È quella che Pirandello definisce anche “filosofia del lontano” che permette di contemplare la realtà da un’infinita distanza, in modo da vedere tutto ciò che l’abitudine fa considerare normale e riuscire a coglierne la totale mancanza di senso.
Pirandello scrisse diversi saggi, tra cui “L’umorismo”, testo chiave per la comprensione dell’autore. La riflessione non viene nascosta, il sentimento suscitato viene analizzato. La riflessione sull’umorismo lascia trasparire il carattere molteplice e contraddittorio della realtà, permettendo di vederla da diverse prospettive contemporaneamente. Cogliendo il ridicolo di una persona si va oltre ad essa e si individua il fondo dolente di umana sofferenza e la si guarda con pietà. L’Umorismo è il sentimento del contrario, dell’opposto, ovvero l’avvertire il contrario e rifletterci, è un momento di riflessione. La realtà è governata dalla casualità più bizzarra in cui non è possibile ravvisare alcun disegno coerente, alcun senso. Davanti ad essa si ride, sebbene sia un riso accompagnato dalla sofferenza per il dover vivere così, quindi accompagnato dal sentimento del contrario.  Anche il Fu Mattia Pascal viene utilizzata la poetica dell’umorismo, per la quale la realtà, attraverso il gioco paradossale del caso, viene distorta in maniera assurda, suscitando il riso, oltre al quale vi è la pietà: scatta dunque il sentimento del contrario.
Pirandello afferma l'idea che il riso nasce dal dolore nell'umorismo, per questo nelle sue opere sono presenti stranezze fisiche portate all’esagerazione, perché così crea il contrasto da cui nasce la riflessione. L’umorismo comunque non comporta necessariamente il riso, è la riflessione che si trova oltre ad esso.
Le sue opere sono tutti testi umoristici, in cui tragico e comico sono indissolubilmente mescolati, da cui non emerge alcuna visione ordinata e armonica della realtà, ma il senso di un mondo frantumato. L’obiettivo dello scrittore umorista è di far riflettere (non ridere), andare oltre l’apparenza delle situazioni paradossali che costituiscono l’oggetto del comico. L’umorismo, in qualità di sentimento del contrario, consiste nello scoprire con sentita partecipazione le sofferenze che si nascondono dietro le stranezze della vita e degli uomini. L’avvertimento del contrario è il comico, si ride perché si avverte una stravaganza che spezza l’ordine normale delle cose, qualcosa che sorprendendoci ci fa ridere per la sua stravaganza (il sentimento del contrario, ovvero l’umorismo, sono le stranezze che fanno riflettere). L’umorismo è il sentimento del contrario, ossia la riflessione sulle diverse implicazioni, tragiche e comiche, che stanno dietro a un comportamento illogico, mentre il comico si limita all’avvertimento del contrario, ossia rispecchiare le contraddizioni senza analizzarle.

Romanzi

Scrisse sette romanzi:
Ø  L'esclusa 1901: è la storia ambientata in Sicilia di una donna accusata ingiustamente di adulterio, che viene cacciata di casa dal marito. Inizia una vita indipendente e triste, fino a quando si trasferisce in una grande città, inizia ad insegnare e viene sedotta dall’uomo con il quale il marito pensava lei la tradisse. Il marito, convinto dalla famiglia, riammette la donna in casa, solo dopo che lei si è resa effettivamente colpevole. Tuttavia la donna lascia l’amante e torna dalla famiglia. La narrazione è in terza persona. La struttura della vicenda sottolinea gli aspetti assurdi paradossali delle azioni umane che possono provocare conseguenze totalmente diverse da quelle previste. Al meccanismo deterministico, tipico del naturalismo, si sostituisce il gioco imprevedibile e beffardo del caso, portando il lettore anche a chiedersi cosa sia vero e cosa falso. L'impostazione umoristica è presente nelle figure grottesche e ridicole con deformazioni espressionistiche. 
Ø  Il turno 1902: un innamorato deve aspettare il suo turno per sposare la donna amata, dopo la morte di altri due mariti.
Ø  Il Fu Mattia Pascal 1904: Il “Fu Mattia Pascal” è una storia paradossale di un piccolo borghese, imprigionato nella trappola di una famiglia insopportabile. In seguito ad una vincita al casinò di Montecarlo diviene economicamente sufficiente però scopre da un giornale che la moglie e la suocera lo hanno riconosciuto nel cadavere di un annegato, quindi è ufficialmente morto. Decide di costruirsi una nuova identità, ma soffre perché lo costringe all'esclusione dalla vita degli altri (non può sposarsi). Decide quindi di rientrare nella sua vecchia identità, ma scopre che la moglie si è risposata ed ha avuto una figlia da un altro. Non gli resta dunque che adattarsi alla sua condizione sospesa di forestiere della vita, contemplando gli altri dall'esterno, consapevole di non poter più essere nessuno. La realtà attraverso il gioco paradossale del caso viene distorta, ma l'assurdo va al di là del riso, suscitando una vera sofferenza. Scatta dunque il sentimento del contrario. Non troviamo più la narrazione in terza persona, ma il romanzo è raccontato dal protagonista stesso in forma retrospettiva. Mattia pascal è definito forestiere della vita quindi estraneo alla sua stessa vita. Nella pagina conclusiva l’eroe discute con l’amico e risulta che la morale della vicenda sia l’impossibilità di rinunciare alla nostra identità, socialmente determinata.
Ø  Suo marito 1911
Ø  I vecchi ed i giovani 1909: è un romanzo storico nella sua forma esteriore, dato che rappresenta le vicende politiche e sociali della Sicilia. Al centro della vicenda vi è una nobile famiglia, l’intreccio si basa sul confronto tra due generazioni: i vecchi hanno fatto l’Italia, ma vedono i loro ideali negati dalla corruzione politica presente; i giovani appaiono smarriti ed incerti e la loro azione si conclude nel fallimento. Vengono adottati punti di vista marginali di personaggi secondari.
Ø  Si gira 1915, che cambierà poi titolo divenendo i Quaderni di Serafino Gubbio operatore: la narrazione è autodiegetica ovvero in prima persona, soggettiva dato che è il diario del protagonista, operatore cinematografico. La sua professione è quella di stare dietro alla macchina da presa che registra (ricordiamo che Pascoli guardava con paura e orrore alle macchine che minacciavano di distruggerlo, mentre D’Annunzio celebrava la nuova realtà). Pirandello, dinnanzi alla realtà industriale è ostile, afferma che soffoca la spontaneità della vita, contribuendo a rendere meccanico il vivere degli uomini. La macchina da presa fissa per sempre in un fotogramma il fluire della vita, diventando emblema della condizione moderna. La vicenda ha al centro una “donna fatale” di cui è innamorato Aldo Nuti. Quest’ultimo, recitando una scena con una tigre, spara alla donna anziché alla belva ed è sbranato da essa. Serafino continua a girare, restando muto per lo choc. Siccome la vita è un caos, cerca di sparire dinnanzi ad essa, riprendendo e basta. In questo romanzo risalta la convinzione di Pirandello per la quale non deve esistere lo scrittore.
Ø  Uno, nessuno e centomila 1925: il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre casualmente che gli altri si fanno di lui un’immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso, scopre cioè di non essere uno, come aveva creduto sino a quel momento, ma di essere centomila nel riflesso delle prospettive degli altri e quindi nessuno. Vitangelo ha orrore delle forme in cui lo chiudono gli altri e non vi si riconosce, decide perciò di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui per cercare di essere uno per tutti. Ricorre così ad una serie di gesti folli e sconcertanti. Venne ferito gravemente da un’amica della moglie, colta da un raptus di follia. Al fine di evitare lo scandalo cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri dove egli stesso si fa ricoverare. Qui è inoltre estraniato dalla vita sociale, trovando una sorta di guarigione dalle sue ossessioni, rinunciando definitivamente ad ogni identità, rifiutando di fissarsi in alcuna forma, rinascendo nuovo in ogni istante, identificandosi di volta in volta nelle cose che lo circondano, alberi, vento e nuvole. A differenza di Pascal non resta in una condizione sospesa, ma trasforma la mancanza di identità in una condizione positiva, in liberazione completa della vita, si abbandona al suo fluire in una sorta di esperienza panica dove si possono scorgere i segni di irrazionalismo. È un romanzo scritto sottoforma di diario, un informale e ininterrotto monologo. Per una buona parte del  libro non vi è racconto, ma un monologo sui temi dell’identità fittizia, dell’inconsistenza della persona. A differenza di Pascal,il quale non arriva ad una soluzione in positivo non rinunciando al nome, segno esteriore dell’identità, Moscarda rinuncia all’identità e al nome.
Il punto di arrivo di Uno nessuno e centomila è il tema dell'inconcludenza della vita, la vita non conclude. Quando la vita conclude c’è la morte. Sembra un fallimento ma Moscarda se ne appropria dato che è inevitabile ed è giusto che sia così. L’inconcludenza è un carattere del relativismo di Pirandello, per il quale la vita è un flusso continuo non può fissarsi in qualcosa se no morirebbe. La vita non conclude perché flusso inarrestabile non posso farla diventare forma dandole paletti se no muore. Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari; Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che ci giudicano; Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità invero non ne possiede nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io"(è un termine che indica la personalità cosciente di un individuo con particolare riferimento alla sua parte più intima e profonda. In psicoanalisi l’Io o ego indica solo la parte cosciente della psiche che, nella struttura della personalità individuata da Freud, ha funzione di adattamento alla realtà. È la parte organizzata che da un lato si trova a mediare tra l’Es, il polo pulsionale e caotico ed il Super-io, la coscienza morale.).      

Novelle

Le novelle sono una produzione nata in modo occasionale, non si riesce ad individuare un ordine determinato a causa della molteplicità di situazioni, casi e personaggi. Rispecchia la visione globale del mondo che è propria di Pirandello, un mondo non ordinato e armonico, bensì disgregato in una miriade di aspetti precari. C'è una categoria di novelle, definibili “piccolo borghesi” in cui i protagonisti vivono in famiglie oppressive con un lavoro monotono, manifestazioni contingente della trappola della vita. Ci sono poi convenzioni sociali che impongono all'uomo maschere fittizie e li imprigiona in un meccanismo sociale senza una vera via d'uscita, così la sofferenza esplode in gesti inaspettati e folli.    
Lo scrittore deforma tratti fisici, che porta al riso, accompagnato dal “sentimento del contrario” ovvero pietà.  I protagonisti cono infatti paradossali, ricalcano il caos dell’esistenza, sono disgregati con personalità alterata dai tratti maniacali e schizoidi. Emerge il fondo ignorato della psiche che distrugge l'idea di personalità coerente e rivela le varie persone che si annidano nell'individuo.  
I legami con il Verismo sono la rappresentazione del duro lavoro, mentre si distingue per l'adozione dell'eclisse dell'autore e della regressione, mentre in Pirandello è presente una frantumazione dei punti di vista, mantiene una narratore che osserva oppure scrive direttamente diari privi di narratore (antipodo al verismo che aveva un solo punto di vista). Non ci troviamo su un terreno veristico, ma in ambito decadente con irrazionalità. Infatti le novelle sono caratterizzate da un narratore che sembra non sappia cosa stia per accadere (come nella novella il treno ha fischiato). Mancano gli antefatti, ovvero i fatti che spiegano, ad esempio ne La carriola, l’antefatto sarebbe potuto essere: l’avvocato tutte le sere faceva fare la carriola al cane; oppure Belluca era un uomo che viveva con dei pazzi, invece il passato emerge per spezzoni.
Ø  Uomo solo:
Ø  La Patente:
Ø  Carriola
Ø  Il Treno ha fischiato
Ø  Lucilla

Teatro

Il teatro predilige ambienti alto borghesi ed è visto come l'istituto in cui si manifesta per eccellenza la trappola della forma che imprigiona l'uomo, separandolo dall'immediatezza della vita. È un teatro che gioca sulla deformazione e sull’assurdo. Il contesto teatrale del dramma borghese era l’adulterio e difficoltà economiche, mentre Pirandello porta le convenzioni borghesi alle estreme conseguenze. I ruoli imposti dalla società borghese vengono assunti con estremo rigore, sino a giungere al paradosso e all’assurdo, e così vengono smascherati nella loro inconsistenza. In questi drammi Pirandello sconvolge due capisaldi del teatro borghese naturalistico, la verosimiglianza e la psicologia. Gli spettatori non hanno l’illusione di trovarsi di fronte ad un mondo naturale, simile a quello in cui vivono, i personaggi sono scissi, contraddittori. il tono del dramma borghese era serio, quello di Pirandello è grottesco, una fusione di serio e ridicolo, tragico e comico. Pirandello definisce il grottesco come una farsa che include nella medesima rappresentazione della tragedia la parodia e la caricatura di essa, come proiezione di ogni gesto tragico. Il grottesco è quindi la forma che l’arte umoristica assume sulla scienza. Il comico rivela sempre, al suo fondo, un nucleo di tragica serietà. Pirandello è anche un drammaturgo ed, insieme a Shakespeare, è uno dei più rappresentati nel mondo. Per il teatro Pirandello scrisse la sua prima produzione che andò in scena a Milano.
In Pensaci Giacomino, un vecchio professore non ha potuto farsi una famiglia a causa del suo magro stipendio. Decide così di vendicarsi sposando una donna giovanissima, in modo da costringere lo Stato a pagarle per molti anni la pensione. Favorì inoltre il legame della ragazza con un suo allievo, affermando che le corna non andranno in testa a lui ma alla parte che recita di marito.

Appunti

Dopo la crisi tra i due secoli, per Pirandello non vi è più un’unica verità, così come non ve ne è nemmeno una singola, a causa della crisi dell’io ed alla sua negazione, alla realtà molteplice (ognuno la guarda a seconda del proprio punto di vista) che porta l’autore a condividere il pensiero di Schopenhauer di mondo come volontà e rappresentazione (ha una vasta cultura). Si contrappone quindi a Manzoni ed ai Veristi partono per i quali rispettivamente il è Dio, mentre per i Veristi sono le cose. Per Pirandello, dal momento che ci sono diverse visioni soggettive della realtà, l’individuo indossa una maschera ecc, non è più possibile distinguere il vero dal falso. Il Relativismo quindi corrisponde alla frantumazione dell’io: l’uomo non è una sola persona ma si suddivide in tante persone. Da ciò deriva che non esistono delle verità e dei valori assoluti: ognuno percepisce la realtà non per quello che è ma per come la vede in un determinato momento, a seconda anche della propria educazione (religione, famiglia, ecc…). Il Relativismo corrisponde al dualismo tra vita e forma: la vita è un libero fluire degli istinti umani e la forma è una maschera che la società ci impone. Di maschere ce ne sono due: un’attribuita da noi stessi e un’altra che ci viene imposta dalla società, e che c’imprigiona nella trappola delle convenzioni sociali
Svevo lesse Freud in lingua, mentre Pirandello non lo lesse, ma tratta comunque argomenti quali psiche, inconscio affermando che la personalità delle persone è molteplice, non ce n’è una sola. Affronta il tema della Follia. I personaggi hanno sempre un doppio vedersi secondo gli aspetti, si mostrano a seconda delle persone e, sempre seguendo questo criterio, fanno prevalere una personalità piuttosto che un’altra (non parla di bipolarismo ma volendo ce lo collego). Pirandello mise in contrasto la vita, come flusso continuo in cui rientra di tutto senza limiti e impedimenti morali, con la forma, che limita la vita dato che a causa della famiglia, istituzioni ecc è necessario adottare determinati comportamenti. Resta comunque illusoria perché è una maschera sotto la quale si cela un’identità informe. Belluca è il protagonista de “Il treno ha fischiato” ed uscendo dalla forma, impazzisce. 

Nessun commento:

Posta un commento